I beni acquistati e consumati nel mondo sono il prodotto di diversi stadi di lavorazione. Spesso avvengono in più Paesi e coinvolgono diversi settori. In più di due terzi dei casi il bene attraversa almeno un confine tra Paesi prima dell’assemblaggio finale.
I dati tradizionali sul commercio estero non riescono però a riflettere i passaggi intermedi all’interno delle filiere domestiche o internazionali. Per avere una visione globale bisogna prendere in esame il valore aggiunto incorporato nel commercio estero. Scomponiamo quindi l’export di ogni Paese:
–VA domestico diretto (generato da imprese del settore nazionale che esporta);
–VA domestico indiretto (generato da imprese degli altri settori dell’economia nazionale che forniscono apporti al settore esportatore);
–VA estero (quello incorporato negli input provenienti da altri Paesi).

In Italia circa il 70% del valore aggiunto incorporato nell’export della manifattura italiana è domestico. Siamo quindi in linea con il VA tedesco, mentre Francia e Spagna hanno un’incidenza più elevata del VA estero. Il primo settore dell’export italiano, la meccanica strumentale, ha un apporto superiore alla media di VA domestico diretto. L’industria automobilistica ha una filiera internazionalizzata e molto frammentata a livello domestico, in quanto ha piccole imprese.
Alimentari e bevande presentano un’alta componente di VA domestica indiretta (materie prime, packaging, ecc.). Nei tessili e nell’abbigliamento il VA estero è molto ridotto (grazie ai numerosi produttori italiani di filati e tessuti, ai produttori di abbigliamento finito, ecc.).
Il successo dell’export italiano nel mondo quindi è anche merito di una forte filiera domestica composta da piccole e medie imprese. Un rendimento produttivo con un grande valore aggiunto.